L'intervista

Il ritorno dell’angelo ribelle

Omar Pedrini sul palco di «RoncoStock» a pochi mesi dal delicato intervento al cuore

Il ritorno dell’angelo ribelle
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Se lo chiamano «angelo ribelle», un motivo ci sarà. E ne ha dato prova, ancora una volta, venerdì sera della scorsa settimana.
E’ stato il solito, grande, pirotecnico show quello messo in piedi al «RoncoStock» da Omar Pedrini, ex frontman dei «Timoria» e anima del rock italiano, tornato sul palco a pochi mesi di distanza un delicato intervento chirurgico al cuore che ha richiesto anche un periodo di coma farmacologico.

Il ritorno dell’angelo ribelle

Vicissitudini sanitarie che però non sono riuscite a tenere in gabbia un leone come Pedrini, 58 anni, che venerdì sera, insieme ai «Precious Time», ha infiammato il pubblico aprendo la tre giorni di festival all’interno del parco della villa comunale di Ronco Briantino. «Indiavolato» come ai vecchi tempi, il rocker ha regalato grandi emozioni durante il concerto, con il pubblico che ha tributato un’accoglienza da re a un poeta contemporaneo che non ha mai amato la banalità. Né sul palco, tanto meno nella vita.

Omar, grazie del tuo tempo. Intanto bentornato: come stai?
Sto bene, come sempre sono andato un po’ oltre ciò che avevo promesso a me stesso e ai medici (ride). L’entusiasmo di tutta la gente che c’era mi ha gasato e ho saltato un po’ più del dovuto. E alla fine ho avuto anche un piccolo svenimento, ma dopo una doccia in hotel mi sono subito ripreso. Sono davvero felice di aver fatto questo regalo ai ragazzi di Ronco, ma anche loro lo hanno fatto a me.
Com’è stato tornare sul palco dopo l’intervento?
Mi è stato vietato dai cardiologi di fare concerti rock come li intendo io, nella versione “indemoniata”. Per cui la mezz’ora di ieri è stata davvero emozionante. Il bilancio è positivo al massimo. La voce non c’è ancora, ma sono sicuro che si sistemerà anche quella.
Un «esordio» in una cornice forse più intima, ma comunque caldissima.
Ai tempi dei Timoria riempivamo i palazzetti ed eravamo considerati la prima band del nuovo rock italiano che faceva quei numeri dal vivo. Mi sono tolto tante soddisfazioni, però non ho mai pensato che le dimensioni di un luogo siano fondamentali per chi fa musica. A me piacciono anche i piccoli spazi, mi diverto anche nelle feste come ieri sera perché c’è un atteggiamento completamente diverso da parte delle persone che guardi negli occhi. Oggi c’è una gara tra le nuove generazioni e se uno non fa San Siro, non si sente realizzato o apprezzato. Ci sono artisti giganteschi che vogliono fare solo i teatri. Da due anni lo sto facendo anche io per necessità, il “teatro canzone” mi sta dando delle belle soddisfazioni. I teatri sono i luoghi ideali per parlare e per vedere negli occhi delle persone le reazioni a ciò che faccio sul palco. Poi certo mi piace avere anche 10mila persone con i telefonini, non c’è dubbio.

Sul palco ti emozioni ancora come una volta?
No, mi emoziono molto di più. Dopo 35 anni di carriera non sono diventato una macchina: ogni concerto porta con sé un’emozione diversa. E andando avanti con l’età sto notando che mi emoziono di più anche nella vita privata. I concerti quindi sono ancora più belli, anche perché ho sempre paura che ogni serata sul palco possa essere l’ultima.

Ti senti un padre nobile del rock italiano?
Io sono un padre del rock italiano, sono un pioniere. Con i Timoria abbiamo abbattuto i muri di cui poi ha beneficiato tutto il rock italiano. Trent’anni fa abbiamo aperto delle strade.

E su queste strade c’è ancora un Omar Pedrini?
Omar Pedrini non fa nulla di speciale. Ma se a 58 anni la gente corre a vedermi, come ieri, vuol dire che piace il modo in cui faccio le cose. Finché ci sarà gente che non si adegua al sistema, comunque, ci saranno sempre degli Omar Pedrini.

Com’è cambiato il panorama musicale rispetto a qualche anno fa?
Le differenze sono enormi. Le piattaforme musicali e i talent show hanno influenzato il panorama. Prima facevi tantissima gavetta nei locali; poi se eri bravo iniziavi ad aprire i concerti dei “grandi”, come noi con i Litfiba. E da lì, se arrivavi al successo, arrivavi alla televisione. Oggi succede il contrario. Parti dalla televisione, diventi famoso (non per forza per meriti musicali) e poi se sei fortunato fai un po’ di successo. Nel 99% dei casi, invece, devi ripartire con la gavetta. E farla dopo essere stato famoso, dopo aver visto dei soldini, è durissima. E quindi tanti si arrendono ad altre cose per mantenere la popolarità. Ma questo non è il successo della musica.

Negli anni, nelle tue canzoni, hai trattato tanti temi ambientali e sociali che oggi sono di estrema attualità. Sei stato pioniere anche in questo.
Nel 1994 uscì “2020 Speedball”, che è considerato il primo disco ambientalista nella storia del rock italiano. Ci diedero dei catastrofisti per le tematiche trattate e invece... Qualcuno ha detto che sono un profeta, ma in realtà si capiva che già all’epoca il mondo stava andando verso l’autodistruzione. Poi è arrivato “Pianeta Blu” e ancora l’ultimo disco “Sospeso” che è dedicato alle nuove generazioni. In particolare nel brano “La Giusta Guerra” tratto due temi attuali che sono l’ecologia e la guerra: lottare per la Terra è l’unica giusta guerra, dice il testo. Arriverà il momento in cui tutti i Paesi poseranno i missili e affronteranno insieme, come un’unica Nazione, i cambiamenti climatici. Succederà tra 10 o 20 anni, ma poi non dite che sono un profeta...

Continuerai a cantare di temi sociali, quindi?
Diciamo che se ci sarà un nuovo disco mi piacerebbe farlo con contenuti studiati per il teatro canzone: un disco lirico, di emozioni umane. Ci saranno sempre riferimenti all’ambiente e alla nostra casa. E poi i temi sociali, che fanno parte della nostra vita. Come le carceri, le morti sul lavoro... Però vorrei anche parlare di poesia, di musica, di amore.

Tornando a venerdì, cosa ti senti di dire ai tuoi fan?
L’affetto che ho sentito è stato disarmante e incredibile. Ai miei sostenitori dico: continuate ad aspettarmi, sto facendo di tutto per tornare in forma e ripartite dalla musica. E se un giorno gli dei del rock vorranno farmi ricominciare (ride)... intanto faccio il bravo, per tornare a calcare il palco di nuovo.

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