"Vorrei conoscere chi mi ha salvato"
L'imprenditore ha appena festeggiato l'anniversario del trapianto "Vorrei poterlo abbracciare e ringraziarlo perché mi ha ridato la vita"
"La paura di non farcela di fronte a una battaglia così grande è stata tanta, anche per lui che con la morte ha a che fare tutti i giorni e che per professione l’ha sempre trattata con sensibilità ma anche con la consapevolezza che "prima o poi tocca a tutti".
"Vorrei conoscere chi mi ha salvato"
Ma Claudio Mattavelli, 59enne titolare dell’omonima agenzia di pompe funebri con la sede sia ad Osnago che ad Arcore, ha sempre risposto alla malattia, alle terapie e ai lunghi ricoveri con il suo modo di fare allegro, sempre spensierato ma mai superficiale. Oggi, a un anno dal trapianto di midollo che gli ha salvato la vita, svela il sogno di poter incontrare un giorno il donatore.
La malattia
«La malattia è entrata nella mia vita alla fine del 2019 - racconta l’imprenditore, che gestisce l’attività di famiglia con il figlio Giovanni, il fratello Giancarlo e i nipoti Davide ed Eleonora - Da circa un mesetto avevo una febbriciattola che non mi abbandonava. Così una sera ho dato buca a una cena, mia moglie Cristina è andata e ha raccontato a un nostro amico medico quello che mi stava succedendo. Il giorno dopo lui mi è venuto a prendere e mi ha portato al Pronto soccorso del San Gerardo di Monza».
Era novembre, del Covid ancora non si parlava, ma a Claudio Mattavelli venne diagnosticata una broncopolmonite bilaterale doppia.
«Mi ricoverarono, ho passato un mese con l’ossigeno e il casco Cpap. A mia moglie e a mio figlio dissero che non sarei arrivato a Natale» prosegue Mattavelli.
E invece, in maniera inaspettata, la ripresa, seguita poco dopo dalla mazzata:
«Dagli esami era emerso che avevo una leucemia. Mi è caduto il mondo addosso e temevo di non farcela. Poi però ho tirato fuori il mio carattere ottimista e sempre allegro e mi sono detto: “Ormai sono in ballo, balliamo”».
Da lì una serie di ricoveri, anche molto lunghi, per sottoporsi alla chemioterapia, sempre accompagnato dall’affetto dei suoi cari e dei tanti amici e conoscenti che l’imprenditore ha sul territorio anche a causa della sua professione.
«Ho raccontato quello che mi stava succedendo su Facebook perché rispondere a tutti era davvero complicato e io ero molto stanco - continua - La leucemia sembrava essere sparita, ma nel 2021 ho avuto una prima recidiva, trattata di nuovo con la chemio».
Nel 2022 un’altra recidiva
Quando la malattia sembrava sconfitta definitivamente, nel 2022 un’altra recidiva:
«A quel punto, a luglio, i medici mi hanno detto che l’unica soluzione era il trapianto. Così, il 31 agosto, mi sono sottoposto all’intervento».
A donargli il midollo uno sconosciuto, al quale i medici sono arrivati accedendo alla Banca mondiale dei donatori di midollo osseo.
«Mio figlio era compatibile solo per il 25 per cento, mio fratello era troppo anziano, non c’erano altre soluzioni. Pare però che in Germania, questa è l’unica informazione che ho, ci sia uno dei miei sette gemelli al mondo, compatibile perfettamente con me, e che ha persino scelto di donare il midollo. Per legge non posso sapere chi sia, non potrò mai incontrarlo e questo mi fa un gran dispiacere perché vorrei poterlo abbracciare e ringraziarlo perché mi ha ridato la vita. Io sono davvero rinato grazie a lui, che si è sottoposto ad un prelievo molto doloroso per qualcuno che nemmeno conosce» spiega Mattavelli con commozione.
«In ospedale è stata dura»
«In ospedale ho vissuto tanti momenti difficili, ho visto i miei compagni di stanza andarsene e anche io ho pensato di non farcela. Quando avevo la possibilità di scegliere la stanza preferivo quella che si affacciava sul parcheggio rispetto a quella che dava sul giardino dei bambini... Vedere la loro sofferenza e quella dei genitori è stato terribile. I medici e le infermiere sono stati eccezionali, sempre presenti e attenti. Io sono molto socievole e ormai mi conoscevano tutti, si era instaurato un rapporto splendido di affetto e stima. Addirittura mi mettevano in stanza con i pazienti più gravi, sperando che potessi portar loro un po’ di buon umore».
Proprio nel reparto di Ematologia, Mattavelli ha trascorso settimane di isolamento, lontano da tutti:
«Non è stato facile, per niente. Il pensiero era a mia moglie Cristina, a mio figlio Giovanni, a mia mamma Mirella e a tutti i miei familiari. Mio nipote Davide ad un certo punto, in piena pandemia, si è trovato a dover gestire tutto, con famiglie che ci contattavano una dietro l’altra perché purtroppo continuavano a morire persone. E’ stato straziante».
"Il lavoro è stato il mio antidoto"
Proprio l’attività di famiglia, fondata da papà Giovanni nel 1968, ha aiutato l’imprenditore a tenersi impegnato quando non doveva sottoporsi alle terapie.
«Il lavoro è stato il mio antidoto - conferma il 59enne - Non appena avevo le forze venivo in ufficio, anche se i miei familiari e i miei medici mi dicevano di riposare. Io rispondevo che non avrei mai lasciato l’attività, questo è il mio posto e mi troveranno su questa sedia finché non sarò morto - racconta quando lo incontriamo nel suo ufficio di via Pitagora - Soffro di stanchezza cronica, ma vado avanti».
E anche se la vita non è più quella di prima, «va vissuta appieno, imparando a godersi anche le piccole cose».
In qualche modo Claudio Mattavelli, se pur con qualche limitazione, è tornato alla vita di prima: «Esco, guido la macchina, lavoro, vado in vacanza e ho anche appena adottato due cani. Faccio meno vita mondana, ho dovuto abbandonare la moto e la barca, ma va bene così».
L'importanza della donazione
Il suo pensiero, però, è quello di far capire a tutti l’importanza della donazione.
«Io ormai sono iscritto a tutte le associazioni possibili e immaginabili e faccio molte donazioni, a dicembre mi arrivano venti Stelle di Natale per la ricerca - racconta con il suo fare ironico - Credo che sia importante supportare gli ospedali e chi affronta una malattia, ma che ancora più importante sia la donazione del midollo perché può concretamente salvare una vita, come è successo a me. Che pensavo che non avrei più abbracciato mia moglie e mio figlio».