Seregno

«Il defibrillatore poteva salvare Maria Teresa»

Nel 2019 la desiana era deceduta per un arresto cardiaco dopo l’anestesia locale somministrata nello studio del chirurgo estetico Maurizio Cananzi.

«Il defibrillatore poteva salvare Maria Teresa»
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«L’utilizzo del defibrillatore presente nello studio medico avrebbe potuto salvare la vita a Maria Teresa Avallone».

«Il defibrillatore poteva salvare Maria Teresa»

Così hanno concluso i periti nominati dal tribunale di Monza per chiarire le cause che hanno portato all’arresto cardiaco della desiana Maria Tersa Avallone, morta dopo la somministrazione dell’anestesia prima di un intervento nell’ambulatorio seregnese di Maurizio Cananzi, chirurgo estetico, imputato di omicidio colposo.

Il tribunale ha nominato un collegio di tre periti dopo che sono risultate discordanti le conclusioni delle consulenze disposte da accusa e difesa.

La tragedia

La tragedia risale a marzo 2019, quando la donna si era presentata nello studio di Cananzi per sottoporsi a intervento di rialzo dei glutei, tramite inserimento di fili sottocutanei.
Ma l’operazione era terminata ancora prima di cominciare, con una corsa disperata in ambulanza, e la morte dopo tre giorni di coma all’ospedale San Gerardo.

Nello studio medico, quel giorno, c’erano solo l’imputato e la paziente. Non appena la donna aveva accusato evidenti sintomi di un malore, al momento dell’anestesia, il medico aveva chiamato i soccorsi, e aveva praticato le manovre di primo soccorso, in attesa dell’arrivo dell’ambulanza.

Le conclusioni della perizia

La perizia collegiale disposta dal tribunale monzese ha concluso che «l’infusione dell’anestesia è stata fatta in modo corretto», e non ha censurato nemmeno il fatto che l’intervento sia stato svolto in «un contesto ambulatoriale» (una normativa regionale lo permetterebbe), e da parte di un solo operatore.

Viene considerato «una buona prassi perché non esistono linee guida in materia». I periti hanno invece puntato il dito sula gestione dell’emergenza da parte del professionista: «In assenza di un accesso venoso preparato prima, che non è previsto per questi interventi mininvasivi, alla crisi convulsiva poteva essere somministrato un calmante per altre vie».

Quando poi la crisi convulsiva ha portato all’arresto cardiocircolatorio «è stata insufficiente la gestione dell’emergenza» da parte del chirurgo, che avrebbe dovuto sin da subito «somministrare ossigeno alla paziente durante le convulsioni» e «prendere i parametri vitali».

Per gli esperti avrebbe dovuto "usare il defibrillatore"

L’imputato ha iniziato il massaggio cardiaco e poi ha chiamato il 118. Secondo gli esperti, invece, avrebbe dovuto «usare il defibrillatore», poiché «ogni minuto di ritardo riduce del 12 per cento la sopravvivenza e solo dopo quattordici minuti dalla crisi i soccorritori sono potuti intervenire».

A fine gennaio previste le conclusioni del processo.

(nella foto di copertina Maria Teresa Avallone)

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