Vimercate

In un libro la storia del prete che salvò i deportati

Un volume racconta la storia di don Eugenio Castiglioni, per 30 anni parroco in città.

In un libro la storia del prete che salvò i deportati
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Stazione di Treviglio, 5 agosto 1944. Il curato dell'oratorio don Ernesto Castiglioni (che sarà poi per trent’anni parroco di Vimercate) passeggia tra banchine e binari, insieme ad un gruppo di bambini.

Nell'Italia occupata

Sono i mesi più bui dell'occupazione tedesca: Treviglio, come tutta l'Italia occupata, è percorsa da militari nazisti e dalle milizie fasciste. Le montagne sono piene di partigiani e le campagne sono affollate di giovani antifascisti in clandestinità. Sulla linea ferroviaria Milano-Venezia, che passa da Treviglio, transitano i treni merci che trasportano i deportati verso i campi di concentramento in Germania. Ebrei, ovviamente, ma anche oppositori politici, zingari, omosessuali. Che ci fa don Ernesto in quell'inferno? Perché di lì a poco sarebbe stato arrestato e caricato su un treno come un prigioniero politico?

Un libro dedicato alla sua storia

Comincia così una delle storie più dimenticate e affascinanti della Resistenza; dal ritratto di un giovane prete di trent'anni, nato a Sacconago vicino a Busto Arsizio nel 1914 e finito giovanissimo a fare il curato nella Bassa. Poi, come detto, per 30 anni, parroco a Vimercate.
Lo storico Francesco Tadini l'ha condensata in "Don Ernesto Castiglioni - Tracce di memoria e resistenza a Treviglio", libro che è stato presentato venerdì scorso, 27 gennaio, Giornata della memoria,  nella cittadina bergamasca.

Don Ernesto Castiglioni poco dopo l'ordinazione

Quel gesto eroico

L'episodio citato è uno dei più drammatici e intensi dell’intera esistenza di don Castiglioni. Antifascista, ma sinora estraneo alla rete della Resistenza organizzata, don Ernesto era un coraggioso e brillante uomo d'azione.
Quando arrivò a Treviglio era prete da poco; era stato ordinato sei anni prima. Come tanti altri cattolici, era inorridito dal Nazifascismo. E come tanti, decise che valeva la pena rischiare la vita, pur di combatterlo. Probabilmente ascoltando clandestinamente frequenze radio militari, aveva saputo che quel 5 agosto del 1944 da Treviglio sarebbe transitato uno dei "treni della morte" diretti da Milano alla Germania, via Verona. E forse aveva anche capito che proprio a Treviglio il treno si sarebbe fermato per una sosta.
Così decise di agire: radunò un gruppo di bambini, per rendersi del tutto insospettabile, e si presentò in stazione. Distribuiva pane ai prigionieri. Nelle pagnotte aveva, però, nascosto diverse lime, che i detenuti avrebbero potuto utilizzare per fuggire. In più, prendeva nota di nomi e cognomi dei deportati: molti erano oppositori politici «rastrellati» senza che le loro famiglie ne sapessero nulla.

Fu arrestato

Non andò benissimo: i nazifascisti lo riconobbero, si insospettirono e lo arrestarono. E su quel treno ci finì anche lui. I bambini che erano con lui, terrorizzati, riportarono subito la notizia ai genitori. Il timore era che don Ernesto Castiglioni sarebbe finito direttamente in Germania. Invece fu fatto scendere a Brescia, dove finì in carcere per un interrogatorio.
E il treno? La fortuna in cui con confidava don Ernesto ci mise del suo: dovette fermarsi per un bombardamento nei pressi di Verona, e lì probabilmente proprio grazie alle lime consegnate dal prete, i deportati riuscirono a smontare i pianali di alcuni vagoni. Qualcuno riuscì davvero a fuggire. Don Ernesto, nonostante le botte, riuscì a salvarsi.

"Si mosse con abilità evitando le accuse più pesanti: quelle di essere un anti-tedesco e di avere contatti con la rete della Resistenza organizzata" , spiega l’autore del libro. E quando poi il parroco di Treviglio, don Bignamini, telefonò al cardinale di Milano Alfredo Ildefonso Schuster, questi si mosse per farlo trasferire a Cesano Boscone, in un centro detentivo.

Aveva salvato diverse vite, ma era ormai "compromesso". Poté tornare a Treviglio - dopo una prigionia durata alcuni mesi - solo all'inizio del 1945. Fu arrestato di nuovo, con l'accusa di organizzare attività sovversive. E a quel punto, di nuovo, per lui si mise male. Riuscì ad evadere dalla Casa del fascio in cui era rinchiuso e si diede definitivamente alla macchia, come cappellano della Brigata Treviglio.

Parroco a Vimercate per trent'anni

Sopravvisse alla guerra, e nel 1946 divenne padre spirituale al Collegio Gonzaga di Milano, succedendo a don Carlo Gnocchi. Nel 1957 venne nominato prevosto di Vimercate: il 13 ottobre dello stesso anno fece il suo ingresso in città, dove sarebbe rimasto per ben trent'anni. Fu lui a volere, negli anni Sessanta, la costruzione del Centro Giovanile Cristo Re in Via Valcamonica. Nel 1965 venne nominato "Prelato d'Onore di Sua Santità". Dopo il ritiro a vita privata, morì nel 1994, ottantenne, nella sua casa del paese natale, a Sacconago.

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