L'altro dolore e Brianza
La riflessione sui tempi moderni dello storico e ricercatore Angelo Cecchetti lancia alcuni spunti.
Il racconto "L'altro dolore e Brianza" dello storico e ricercatore di Triuggio, Angelo Cecchetti, che qui riportiamo, invita a una riflessione sui tempi moderni.
L'altro dolore e Brianza
Quando il pensiero mi sussurra dello scrivere del dolore, sia chiaro, non si tratta del dolore fisico, è l’altro dolore. L’altro dolore è quello che attanaglia in funzione del grado di sensibilità diversa di ognuno di noi. Di quello che fa rattristare un nonno quando la nipotina di pochi anni apre le braccia con la richiesta, palese, di essere presa in braccio e che, per motivi di salute, il papà di suo papà non può esaudire la banalissima richiesta. Il non poter spiegare alla bimba il perché non riuscire è dolore. Non esiste una scala Mercalli dell’altro dolore. Nessun intento mi spinge a cercare di elargire consigli o certezze a nessuno. Le parole e il presente contenuto, lo so, non sono adatte a tutti, come ad esempio, a coloro: che pensano che l’apparire sia fondamentale; che hanno come “principio” basilare il dress code, quell’insieme di regole per combinare in modo opportuno l’abbigliamento; che quando si alzano non osservano il sole; che quando si coricano non osservano la luna; che ti guardano le calzature che porti ai piedi; che non sono lieti quando i bimbi giocano e sono festosi; che non si accontentano di quello che hanno; che vorrebbero il tutto e il di più; che non hanno mai mangiano i sanguiss (panino imbottito) ma solo sushi; che non sanno che il volontariato non è di recente nascita; in realtà prima era innato in Brianza “il dna l’essere volontari”.
Una riflessione non adatta a tutti
Lo scriveva Carlo Ravizza nel 1841 nel suo «Un curato di campagna» nei paraggi del Monte di Brianza:
«Io mi ricorderò sempre il giorno in cui, morti di violenta malattia gli uomini adulti d’una famiglia, non erano rimaste a lavorare il campo che le braccia inferme della vecchia madre, e quelle ancor troppo tenere di tre figlioletti. Usciti appena dalla chiesa (dopo la messa), dove il buon parroco aveva pietosamente raccontata la disgrazia di quella famiglia, quasi tutti furono in movimento per recarle aiuto. Colle vanghe, erpici, semente. Né per tutto l’inverno mancò il bisognevole a quella vedovata famiglia».
Che non sanno apprezzare il loro territorio; che dicono "ul ghezz sal servèss a fà?" (il ramarro a cosa serve?); che rincorrono il tutto; che non vedono l’armonia onnicomprensiva come un elemento fondamentale, ma anzi si arrogano il diritto di disarmonnicomprensivizzarla (parola che non esiste nel vocabolario, ma serve per rendere l’idea di qualcosa che crea disarmonia in ciò che abbraccia il tutto, l’omnia. Il caos); che han mai majà o mangià il cafèlacc la sira (che non hanno mai mangiato il caffelatte la sera); che non si accontentano mai e qui mi fermo.
Diminuisco un po’ il senso della enumerazione, in quanto la maggior parte delle righe sopra riportate hanno sicuramente un ruolo importante nel contesto di una vita sociale, ma tale contesto non ne deve, o non ne dovrebbe, rappresentare una verità assoluta e prioritaria. Lungi da me il criticare, quanto sopra elencato. E’ solo un pensiero nel rispetto della ragione ed è sottinteso che ognuno, nel lecito, possa fare sempre ciò che ritenga più opportuno.
Capitolo I
Dolore, brutta parola, che nel contempo stimola i sensi, l’anima, lo spirito e il sentimento. Mi viene anche il sospetto che A chiunque non rientri in quanto citato nella prefazione, non ho nulla da aggiungere in quanto già sa. Il pianto che sgorga dal viso e si schiaccia con forza, quasi a voler sparire, contro il seno di figura amata quale vano tentativo di lenire... Il dolore di una goccia di pioggia che svanisce quando incontra il nero asfalto è forse uguale al dolore di un fiore reciso? Quanti non danno o non hanno dato una carezza, la sera, ai bambini come fosse la carezza del Papa. Il dolore e il silenzio: grande il silenzio, ergo il bene è stato grande. Gli anziani mezz in gèsa (mezzo in chiesa significa essere vicini all’ultimo viaggio che porta alla chiesa) dicevano che: «I giovani non devono respirare la stessa aria dei vecchi, nel senso che non devono condividere i loro dolori». Il dolore di mamma chi potrà mai descriverlo. Cunt la fet (fede) si può tentare di aggrapparsi alla superficie liscia di uno specchio per dare un significato. Mia mamma di 96 anni, ancor oggi, dice che quando uno ha la fede ha una speranza. Mi permetto solo un piccolo pensiero quasi fosse un aforismo per la Pulcinoelefante: «Il dolore è un angelo con le ali intrise di lacrime, così pesanti, che il volare è ormai vietato nell’infinito».
Capitolo II
Ringrazi, ma me ul cafè al voeri minga, sunt apost inscéé (ringrazio, ma io il caffè non lo voglio, sono a posto così).
Il servizio completo è pubblicato sul Giornale di Carate in edicola da martedì 24 settembre 2024.