Testimonianza

"Se questo può servire", Carlo Giorgetti racconta la sua storia

Il papà di Paolo Giorgetti, vittima della 'Ndrangheta, ha presentato il suo libro autobiografico.

"Se questo può servire", Carlo Giorgetti racconta la sua storia
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Se il dolore può servire, trasformandosi nel desiderio di aiutare chi è in difficoltà. Se la drammatica perdita di un figlio può servire a far nascere un’associazione che sostiene l’ospedale di Tanguiéta, in Benin, e a salvare seimila bambini all’anno. Se scrivere la propria storia può servire a rendere immortale il ricordo del figlio Paolo e a raccogliere fondi per gli Amici di Tanguiéta.

Se tutto questo può servire, allora, forse, anche la più grande delle tragedie ha un senso. E’ la consapevolezza raggiunta, non senza comprensibili e umanissime fatiche, da Carlo Giorgetti, per tutti Carluccio, che in sala civica Radio a Meda ha presentato il suo libro autobiografico, «Se questo può servire», aprendo le porte del suo cuore e condividendo sentimenti «che prima tenevo chiusi a doppia mandata».

Carlo Giorgetti ha aperto il suo cuore

Una testimonianza toccante in cui alla soglia dei 90 anni il noto imprenditore medese, patron della Giorgetti, spiega come è riuscito a sublimare l’immensa sofferenza per la morte del figlio Paolo, vittima della ‘Ndrangheta, in una storia di solidarietà, impegno e slancio verso il prossimo, in particolare verso i piccoli del Benin accuditi nella Pediatria dell’ospedale di Tanguiéta, intitolata proprio allo studente del liceo Marie Curie rapito e ucciso a soli 16 anni nel 1978. Introdotto dall’amica di famiglia Laura Pozzi, affiancato dalla figlia Roberta e dalla moglie Augusta Orsenigo, Carluccio si è fatto forza e nonostante la voce roca le sue parole sono risuonate e si sono impresse indelebilmente nella mente e nei cuori delle tante persone in sala.

"Se questo può servire"

Un racconto intenso, in cui Carluccio racconta il dramma che ha colpito la sua famiglia, ma anche la sua evoluzione come uomo e lo «switch» che ha segnato un cambiamento di approccio alla tragedia, dal comprensibile pudore iniziale alla voglia di condivisione e sensibilizzazione per una buona causa.

«Subito dopo quello che ci è capitato io e la mia famiglia ci siamo chiusi nel silenzio, non volevamo che trapelasse nulla all’esterno - ha ammesso - La svolta è arrivata nel 2015, quando in occasione della Giornata per le vittime di mafia alcuni studenti di una scuola di Meda mi avevano chiesto “il permesso”, temendo di riaprire le ferite, di incentrare un loro progetto sulla figura di Paolo». Una richiesta che in un primo momento «mi ha agitato», ma che poi «ho colto come un’occasione. Allora ho risposto “Se questo può servire”».

L'associazione Amici di Tanguiéta

E proprio questa frase da lui stesso pronunciata è il titolo dell’opera che Giorgetti ha presentato per la prima volta alla cittadinanza, spiegando che «tutto il ricavato dalla vendita dei libri sarà devoluto agli Amici di Tanguiéta». L’associazione è stata fondata nel 1984 per aiutare l’ospedale del Benin, che negli anni, grazie al prezioso contributo della famiglia Giorgetti, di amici e sostenitori, si è ampliato, si è dotato di apparecchiature, farmaci e personale medico, migliorando la qualità della vita della popolazione africana. E in particolare dei bambini della Pediatria, che porta proprio il nome di Paolo Giorgetti.

"Nei sorrisi dei bambini il mio Paolo continua a vivere"

«La mia vita e quella della mia famiglia ora hanno riacquistato un senso», ha confidato Giorgetti, ammettendo che «all’inizio ho vissuto momenti durissimi, volevo solo uccidere coloro che mi avevano portato via mio figlio. Ringrazio le tante persone che mi sono state accanto, senza di loro non ce l’avrei fatta. Mi hanno fatto capire che la vita deve andare avanti». Non mancano i momenti di sconforto, «ma quando mi assale la tristezza penso ai sorrisi dei bambini di Tanguiéta. E allora il dolore si sopisce, perché so che il mio Paolo continua a vivere in ognuno di loro».

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