Triuggio

Ultimo respiro: analisi metafisica della Brianza

Il racconto scritto da Angelo Cecchetti, un testo così ricco di filosofia «che va riletto almeno tre volte per cogliere al pieno i contenuti».

Ultimo respiro: analisi metafisica della Brianza
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Si intitola "Ultimo respiro" il racconto dello storico Angelo Cecchetti di Triuggio, un trattato dove tempo e spazio si accavallano tra di loro, evocandone speranza e conoscenza.

Prefazione di "Ultimo Respiro" a cura di Paolo Pirola (Brianze)

"I vecchi subiscon le ingiurie degli anni, non sanno distinguere il vero dai sogni, i vecchi non sanno, nel loro pensiero, distinguer nei sogni il falso dal vero" da "Il vecchio e il bambino" di Francesco Guccini. I lettori del Giornale di Carate ormai conoscono Angelo Cecchetti (Ngiulèn/Cechèn, i due protagonisti del racconto) come firma abituale: ogni settimana, o quasi, le sue storie straordinarie di una Brianza che fu rallegrano le pagine del Giornale, rara eccezione nella monotona quotidianità della provincia briantea. Treni a vapore che sbuffano ancora tra il traffico ormai perennemente bloccato; torte paesane che sfidano impavide i McDonald’s e donne timorate con la sperada ma senza tatuaggi e cagnolini… Questo il mondo (ul mundt, come scrive il Cecchetti) che scivola fuori dalle pagine ingiallite dei suoi vecchi libri ottocenteschi, dalla sua formidabile biblioteca avente come unica stella polare la Brianza! Un mondo che Angelo regala a gratis in questo Giornale: basta avere un po’ di curiosità, di amore o almeno di affetto nei confronti della nostra terra, dei nostri avi. Ciò detto, questa volta il nostro si esibisce in un triplo salto mortale senza rete. Abbandona la certezza dei documenti storici e delle date aprendo il suo cuore all’onirico, al presente che è passato e futuro assieme, dove è difficile distinguere nei sogni il falso dal vero… "Ci sono due giovani pesci che nuotano e a un certo punto incontrano un pesce anziano che va nella direzione opposta, fa un cenno di saluto e dice: Salve, ragazzi. Com’è l’acqua? - I due pesci giovani nuotano un altro po’, poi uno guarda l’altro e fa: Che cazzo è l’acqua?". Così David Foster Wallace nel suo leggendario discorso ai giovani neolaureati del Kenyon College nel 2005. Angelo è il pesce anziano che, navigando nel suo Lambro, nella sua Brianza chiede ai giovani pesci, a tutti noi, ma forse anche a se stesso: «Com’ è l’acqua? E com’è la Brianza?».

"Ultimo respiro", il racconto intervallato da foto della Brianza

"Ultimo respiro". Una storia, che forse ormai io solo conosco, continua a girarmi intorno come farfalla che disegna nell’aria un infinito che scompare e riappare. E’ giunto il momento. Successe parecchio tempo fa, in un piccolo paese della bassa Brianza, tra Macherio e Canonica Lambro. Due famiglie simili, uguali nella miseria e nella fatica. I due capofamiglia, i regiù, erano Cechèn (Francesco) e Ngiulèn (Angelo). Cechèn 6 figli da tirar su, mentre Ngiulèn senza figli, gliene ne sono morti 5 prima ancor prima di raggiungere il primo anno di vita per una strana malattia. Anno nuovo, novità nuove; le due mogli hanno dato alla luce lo stesso giorno due piccoli maschietti entrambi con occhi e capelli scuri. Cechèn pensa che avrà un’altra bocca da sfamare, con maggior fatiche da sopportare e maggiori ristrettezze. Ngiulèn non è felice, il suo cuore lacrima, perché sa che prima dell’anno il suo figliolo raggiungerà gli altri in Paradiso. In paese si conoscono tutti e tutti vivono l’angoscia che stanno provando Ngiulèn e sua moglie.

Venne il giorno del battesimo...

Viene il giorno del battesimo, le due famiglie in chiesa con il parroco che procede al rito del battesimo. Usciti dalla chiesa, le due famiglie, si recano all’osteria all’angolo chiamata Ul Mundt, Il Mondo. I due padri, o meglio, i due papà, seduti a fianco con due grosse ceste con i pargoli affagottati, con l’unico particolare che li differenzia una piccola cuffietta azzurra adagiata sul cuscinetto del figlio di Ngiulèn. Non ricordo i nomi degli infanti o forse non mi sono stati raccontati. I due papà per un attimo rimasero soli, le donne erano uscite in cortile, i loro occhi si incrociarono nel giorno del solstizio estivo. Senza proferir alcuna parola, Cechèn sostituì i bimbi nella cesta e Ngiulèn abbassò gli occhi in segno di intesa. Ngiulèn avrebbe potuto, con sua moglie, avere un figlio da crescere e da amare. Nessuno si fece domande nel chiedersi se il gesto compiuto fosse giusto o sbagliato. Era così che doveva essere fatto. Mentre le due famiglie si indirizzavano alle loro misere dimore Cechèn disse a Ngiulèn: «Ricordès che de lè inco, e prima de sira va giò al puntisell de la Canoniga e asculta». (Ricordati che giorno è oggi, e prima di sera scendi al ponticello della Canonica e ascolta).

L'albero, il Lambro e il canuto personaggio

Venne il momento e Ngiulèn mantenne la parola, non c’è anima viva in giro, nessuno, solo lui e la sera. Diventa buio ma non sente nulla, però a un tratto pare scorgere qualcosa nella sera che si manifesta molto scura. Par di notare un uomo, seduto all’ombra dell’antico albero, che osserva il suo fiume, non il fiume di altri,  è proprio il suo fiume: il Lambro. Pur essendo buio, sotto l’albero, si è creata una porzione di fioca luce che genera, appunto, una zona d’ombra dove la triade formatasi, quasi a essere un’unica unità non per caso, è giunta al momento dell’incontro. L’albero, il Lambro e il canuto personaggio dal nome ormai trasformato. Non parlano, si scambiano emozioni, informazioni, ricordi. Chi meglio di un fiume, attraverso il suo scorrere per secoli, può descrivere quello che è stato, ben inteso che non si tratta di  narrar una semplice storia. Il delineare le sensazioni, quello che il  fiume fa proprie nell’intimo, intrise di tutto il bene e il male che l’uomo, con o senza volontà, ha dispensato nel corso del tempo. Sempre senza proferir parola, rivolgendosi al fiume, i compartecipi si interrogano se sia giunto il momento, più elevato e  culminante, narrato  nel Salmo 51, ossia se il Lambro sia, dal punto vista dell’uomo, sia pronto a concedere il perdono, oppure se stia ancora aspettando che i colpevoli riconoscano il peccato commesso; nessun re si è ancora presentato.

Nel tempo si scrisse che il fiume "…trasportar sordidi avanzi…"

Nel tempo si scrisse che il fiume "…trasportar sordidi avanzi…", ma ancor oggi nessun si prese la colpa e, chi solo il fiume può lavare l’onta, come acqua purificatrice che cancella gli immondi sudiciumi, come atto di espiazione spettante solo a colui che da Menaresta nasce ogni giorno.  Per un attimo il fiume si ferma, non scorre più, acqua ferma immobile, non più briosa, allegra e dinamica, non più le residue pale molinare in movimento, è divenuto un lunghissimo lago di 130 km. Nessuno si accorge, o meglio, per gli astanti nulla è cambiato, e subito poco dopo, il fiume prosegue il suo cammino senza pensare quello che è stato, quello che è e quello che sarà.  Nessun atto religioso è richiesto, solo natural rispetto. Il pensare al fiume che ben conosce ogni angolo, ogni anfratto, dove le materne donne si inginocchiavano a lavare e risciacquare i panni e in senso accorato si scambiavano parole fino al ritorno alle proprie dimore. Bene, il Lambro ha sempre ascoltato questi pilastri del focolare, simultaneamente sentiva le lavandaie vicino alla sorgente come quelle vicine alla confluenza. Condivideva le giornate con loro, partecipava alla vita del paese e tutti i giorni le ringraziava, anche sapendo benissimo, che non poteva essere sentito.

Il destino era segnato....

Simil pensiero associava alle strade antiche, alcune esistenti e altre dimenticate e cancellate da secoli. Anche in questo caso il pensare che siano state mandate nell’oblio è errato. Esisterà sempre qualcuno che, nella sua mente, sentirà correre ancora la linfa di riscoprire questi antichi tracciati, coperti di terra o distrutti. Il destino di questi percorsi è stato segnato fin dal momento della loro costruzione. Spetta al ruolo dello scopritore, con tenacia, il compito di ricostruire e ridare vita a queste carreggiate, anche qui è palese il ripristinare un ciclo della vita. Così pure l’albero era contemporaneamente avvisato del parlottio delle donne e a sua volta ringraziava. In tal attimo il frigido fiume rallentò il suo lento scorrere, solitario ninnanannare, tra le carpie anse, cullando i pochi pesci e i solinghi anuri, mascherando leggerissimi zampilli di lacrime. La sua tenacia ha rafforzato la superficie, non più d’impercettibile consistenza, ma corazza compatta nel continuare il suo fluire, scambiando col cielo le stille evaporate, che per natural ciclo, sarebbero ritornate a lui.  I tre pilastri, concordi nel dubbioso pensiero, si specchiano in un letargo auto imposto. Il tempo trascorre non in modo uniforme, ognuno del trio, ha modi, pensieri e azioni differenti nel mettersi in relazione col tempo. Trascorrono minuti, mesi o forse addirittura anni, le informazioni tra di loro si intersecano, i pensieri navigano e si evolvono e si trasformano; l’obiettivo è noto ma difficile da raggiungere. Non importa, il primo traguardo lo si incontra nell’essere in accordo sul fine da perseguire. L’umanità è coinvolta, ma molti non sanno e altri fan finta di non sapere. Le domande non vengono poste fin quando non si conosceranno le giuste risposte. Il dubbio accompagna l’uomo certo.

I tre si ripresentano al solito luogo...

Nel turbinio dello spazio temporale, i tre, si ripresentano al solito luogo, a fianco di antico piccolo ponte, come se si fossero dati un appuntamento fissato da nessuno. Il vecchio albero, di cui non si conosce l’esatta essenza, smuove leggermente le sue profondissime radici, ancorate saldamente, quasi a sgranchirle e ridar vigore a quest’arti intorpiditi. Il fusto immenso dall’aspetto quasi roccioso carsico, dove i secoli passati, hanno modificato la morfologia.  La sua corteccia è simile a pietra, quasi celtica karra. Il perché di tali trasformazioni è concentrato nel suo midollo. Lo sfondo scenico dell’incontro è un quadro d’artista, non d’autore. I loro strumenti musicali sono accordati, ma non sono ancora pronti a diffondere melodiosi note, non è ancor giunto l’attimo. Le foglie, essendo per natura caduche, dal canto loro hanno la fortuna o la sfortuna, a seconda delle annate, di essere portatrici di testimonianza. Finito il loro tempo, giungono all’abscissione e, nel loro distacco, portano nuova vita, anche qui come natural ciclo testimoni sono del loro tempo. Il loro obiettivo è stato prefissato da molto.
L’albero, in momento predestinato, le scuote facendole vibrare. Il vento è assente, l’aria è ferma. Questo fruscio di pochi secondi, o forse ore, non ha minimamente sconvolto le genti d’intorno. Nulla è successo. Un evento così grande non ha scaturito interesse. La chioma è un ricettacolo di insetti, uccelli e piccoli rettili; un micro cosmo. Tal paradiso è interesse solo di pochi, nessun più si chiede il perché. L’albero rimane continuamente lieto della presenza di questi piccoli esseri dove, reciprocamente, recar conforto. Senza nulla levare alla estrema fortuna di aver sotto di lui seduto e accovacciato, oramai da sempre, il canuto uomo senza età. Questi tre osservatori non conoscono le rispettive voci, gli unici rumori sono dovuti allo spumeggiar del fiume e lo stormire delle arboree figlie.

Il scivolare degli anni

Si accorgono dello scivolare degli anni. Il loro scopo è tracciato, ma il dubbio li accompagna. L’uomo, dopo assai pensare, si alza per la prima volta dopo molto tempo. Qualcosa forse si è generato? Sempre in silenzio si avvicina al ciglio della leggera scarpata per poter osservare meglio il papà che tiene nella sua nerboruta e stanca mano, la piccola mano di un bimbetto lungo il limitare del fiume. L’osservatore pensa che è passato molto, molto tempo che i suoi occhi, ancora d’accipitride, videro una tal scena maestosa. Il suo cuore per un attimo fece eco ai flutti del Lambro e alle movenze dei rami. Passato l’attimo si accomodò di nuovo al solito posto con leggero, ma saporito, sorriso sulle labbra. L’albero ha osservato da secoli i viandanti, ha carpito i loro pensieri, ha accolto le liete novelle e ha cercato di mettere nell’oblio le nefaste vicissitudini, non riuscendoci sempre. Arriva il giorno in cui il sole si ferma e la notte diviene breve con ciò che di magico è misterioso, il sole si sposa alla luna, l’incontro, o lo scontro, tra il sacro e il profano dove sotto l’amica e gran Noce avvengono gli incantesimi. Ebbene in questo giorno accadde che il bimbo col papà si arresta sul ciglio del fiume e il genitore si appresta all’antico insegnamento.

Il bimbo e il suo papà

Il bimbo osserva e cattura tutto ciò che il suo sangue va a mostrargli. Il papà con accurata certosina precisione vaglia e cerca alcuni sassi, spiegando al figlio come debbano essere: piatti, levigati, circolari il più similmente possibile a piccoli dischi. Una volta cercati e raccolti, aiutato anche dal figlio, arriva il momento elevato, il papà, quasi ad abbracciare la sua creatura, spiega il movimento che occorre fare, la giusta inclinazione per lanciare questi piccoli oggetti sacri sulla superficie del fiume, cercando di fare 3, 4, 5 o anche più saltelli. Da subito il bimbo apprende, come se lo avesse sempre saputo fare. Di nuovo l’uomo canuto si solleva a osservare. Ne rimane catturato ed estasiato; sente che anche il fiume, a sua volta, è felice nel sentirsi solleticare il dorso da questi piccoli sassi. Ogni saltello è una carezza. Finalmente, pensano i tre, è ricomparsa la simbiosi ed è in quest’attimo che, nel mentre si avvicina un ragazzotto, l’ultimo respiro abbandona per sempre l’uomo che, nel suo solito posto, ormai si è accasciato in una posizione astrale. Il fiume e l’albero sanno che anche l’uomo sta compiendo il suo ciclo vitale, lasciando il posto al ragazzo che non si trova lì per caso. Un grande senso di mestizia avvolge i presenti, ma sanno anche che dopo il sorgere del sole arriva il tramonto, il sole non muore, rinasce.

Lo scopo dell'uomo canuto

Terminato il rito dell’estremo saluto, l’albero, in accordo col fiume, senza parlare coinvolge la giovane chioma castana a perpetuare lo scopo dell’uomo canuto. Occorre che tu ti applichi, pareva sentirsi una voce proveniente dalle fronde. Dovrai studiare, dovrai essere retto, dovrai perseguire il giusto cammino affinché, in un lasso di tempo definito, ma non misurabile con i criteri conosciuti dall’uomo, potrai un giorno sederti là dove stava l’uomo canuto. Fu in quel momento che il ragazzo non ebbe più necessità dell’uso della parola, il suo essere era ormai sincrono con l’albero e il fiume, bastò un cenno di consenso. Il tempo si fermò, il fiume si fermò e senza il suo non parlare scatenò tre mulinelli vorticosi che lanciarono delle stille di rugiada  sulla fronte del ragazzo, quale antico rito o antica benedizione. Prima che i mulinelli sparissero, il fiume disse al ragazzo: ricorda che tua mamma, nell’antica lingua, chiamava i mulinelli "nespulèn".

Il dizionario

Dalla borsa a tracolla, il ragazzo, con una lentezza atavica, leva un vecchio dizionario senza data. Lo apre e vede che diverse parole sono cancellate, o meglio, qualcuno le ha sommerse con una matita rossa molto pesante, come ad esempio la parola posizionata sotto "rispettivo" è stata marcatamente cancellata. Il ragazzo tenta con una gomma di levare il colore rosso sangue per vedere la parola sottostante. Solo in una piccolissima porzione è riuscito, ma nulla appare. La parola è scomparsa. Il ragazzo ha capito. La parola non ha più il valore datole. L’albero e il fiume concordano che ora il ragazzo si può accomodare là dove sedeva l’uomo canuto. Il ragazzo prima di mettere il dizionario nella borsa, si accorge che tra alcune pagine si sono formati degli spazi, come se ci fosse qualcosa a impedirne la chiusura dissociando l’adesione tra di loro. Ne aprì una a caso e si accorse che la parola era messa in grassetto; passando sopra il polpastrello si accorse che era in rilievo di un colore nero come la notte e al tatto sembrava durissimo quasi fosse di vantablack, nel rimanere stupito egli stesso di conoscere tale parola, che al momento non era ancora stata inventata. Nessuno stupore però tra il fiume e l’albero, che sempre senza parlare, dissero di riporre il vocabolario e che un giorno tali parole ritorneranno ad avere il giusto significato.

Conclusione

Nel cercar nell’azzurro cielo lo scorgere il volar di rondini o balestrucci, animali protetti, non dall’uomo sia ben chiaro, pensando ai loro nidi presso il monastero di Brugora dove da secoli ritornano a ripopolare nidi, pur affrontando mille inciampi, i tre, ridiedero la facoltà al tempo di riprendere il suo corso, e come al solito nessuno si accorse di nulla. La parabola o la metafora, recitata in lingua ancor più antica, della storia appena raccontata non serve a nessuno se, coloro che passando sopra un ponte e osservando il fiume vedranno solo acqua. Nel mentre il tempo scorre, il mio antico dizionario è sempre in subbuglio; le parole in rosso aumentano e ancor di più le parole in rilievo del colore della pece. Sono come le vecchie credenze basate sulla non conoscenza… che attribuiscono al canto notturno della civetta la corrispondenza della morte di una persona nei paraggi e, guarda caso, nessuno ha mai pensato di eliminare tutte le civette affinché, non esistendo più il loro canto, nessuno più sarebbe morto…Alla fine, di nuovo, i tre si consolidarono in unico binario con tre rotaie con una ben precisa destinazione, respirando sotto un unico cielo di speranza e nessuna voce narrante e nessun deus ex machina a dipanare la matassa di quanto narrato.

Angelo Cecchetti

Il servizio completo è pubblicato sul Giornale di Carate in edicola da martedì 7 novembre 2023.

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