Voleva fare il farmacista ma è diventato esperto della Scientifica per il delitto di Garlasco
Intervista al 60enne arcorese Dario Redaelli, esperto della Polizia di Stato in materia di investigazioni e perito nominato dalla famiglia Poggi

Ci vuole fegato, si potrebbe dire. Ma il sospetto è che ci voglia più che altro cuore, passione e naturalmente anche tanta professionalità, soprattutto quando si è a tu per tu con cadaveri (quelli di Yara Gambirasio e Chiara Poggi i casi più eclatanti) che "chiedono" giustizia, che venga ristabilita la verità dei fatti e accertati i colpevoli.
Voleva studiare Farmacia
Voleva studiare Farmacia ma galeotta, è proprio il caso di dirlo, fu una visita negli uffici comunali di Arcore per rinnovare la carta d’Identità.
Lì venne a sapere che era appena stato pubblicato un bando per entrare nella Polizia di Stato. Il 60enne Dario Redaelli, criminalista (colui che applica metodologie scientifiche per analizzare prove raccolte sulla scena del crimine, con l'obiettivo di ricostruire la dinamica del reato e identificare il colpevole) esperto della Polizia di Stato in materia di investigazioni scientifiche (in particolare nel filone della balistica forense) e volto conosciuto in città per essere il figlio dello storico consigliere comunale della Lega Beniamino Redaelli, scomparso nel 2019, mai e poi mai si sarebbe immaginato che quella scelta l’avrebbe poi catapultato nelle scene dei delitti dei grandi casi di cronaca nera degli ultimi trent’anni, a partire dal suicidio di Raul Gardini fino al caso di Garlasco.
Il suo passato
Nel mezzo, giusto per citarne solo alcuni, l’identificazione dei cadaveri dei disastri aerei di Santa Maria delle Azzorre del 1988 e di Cuba nel 1989. E poi ancora la strage di via Palestro a Milano nel 1997, il delitto della piccola Yara Gambirasio, la ricerca di Transcrime sul traffico di armi utilizzate negli attentati terroristici dell’Isis in Occidente e la consulenza che sta offrendo alla famiglia Poggi per l’omicidio di Garlasco nel quale venne uccisa Chiara.
La carta di identità scaduta... e quel bando per entrare in Polizia
Una lunga carriera di colui che può essere considerato un’eccellenza brianzola e che, però, non ha mai amato la ribalta delle cronache.
La carta d’identità scaduta
"Sono figlio di quella generazione che era obbligata a svolgere il servizio di leva - ha raccontato il perito - Avevo 20 anni ed ero già iscritto al corso di laurea in Farmacia. Una mattina andai in Comune per rinnovare la carta di identità e il mio sguardo venne rapito da alcuni fogli appesi ad una bacheca nei quali si dava notizia che era aperto il bando per entrare in Polizia. Decisi di iscrivermi anche perché pensavo ad una destinazione in ambito regionale, poco distante da casa e dall’università. Successivamente mi chiamarono e il giorno della famosa nevicata storica del 1985 venni convocato a Milano. Nel luglio di quell’anno iniziai la mia attività in Polizia di Stato. Inizialmente era un ambiente che mi faceva paura, lo ammetto; poi, però, mentre continuavo gli studi in Farmacia, giorno dopo giorno capii che era il mio lavoro. Dopo aver sostenuto un corso a Trieste, mi assegnarono al «Grps Lombardia".
Per anni collaboratore dell'ex Prefetto Cardona di Milano
Inizialmente non capivo di cosa si trattasse; mi dissero, in poche parole, che sarei entrato nella Polizia scientifica. Lì ebbi la fortuna di incontrare Marcello Cardona che poi diventerà questore e prefetto di Milano. Quell’incontro mi cambiò la vita. Quando Cardona venne nominato questore di Milano mi chiese la disponibilità a collaborare con lui. A quel punto abbandonai il corso di laurea in Farmacia e decisi di intraprendere gli studi in Giurisprudenza. E arrivò, dopo alcuni anni, la la laurea. A contatto con Cardona iniziai a dedicarmi sia ai sopralluoghi sulle scene del crimine sia all’indagine balistica forense. Ricordo ancora la mia attività per identificare i cadaveri dei disastri aerei di Santa Maria delle Azzorre e Cuba. Scene strazianti. Successivamente mi occupai anche di «Mani Pulite», della strage di Pontevico (fu lui ad identificare i cadaveri) e dei delitti della mafia stragista».
Miracolato in via Palestro
C’è un episodio chiave nella vita professionale di Redaelli che ricorda sempre con un pizzico di emozione.
"Ricordo ancora quella sera di luglio del 1993 quando la mafia fece scoppiare una bomba in via Palestro, a Milano - ha continuato il perito - Ero a cena con amici e ad un certo punto squillò il telefono fisso (allora non c’erano ancora i cellulari). Mi dissero di correre in via Palestro. Quando ci fu la seconda esplosione io avevo già iniziato la mia attività di documentazione. Mi trovavo nel cortiletto dell’edificio. Ricordo ancora l’onda d’urto dell’esplosione che mi spostò a diversi metri di distanza rispetto a dove mi trovato. E’ stata una fortuna perché se fossi rimasto dove mi trovavo probabilmente sarei morto schiacciato dai lucernari che cadevano dal tetto a seguito del boato".
"Fui il primo ad arrivare a Chignolo d'Isola dove venne ritrovata Yara"
Venendo ai casi di cronaca più efferati, fu proprio Redaelli il primo a raggiungere il campo di Chignolo d’Isola, nella bergamasca, dove nel febbraio del 2011 venne ritrovato il corpo di Yara.
"Era un sabato pomeriggio e stavo assistendo alla partita di calcio di mio figlio al campo della Cosov, a Villasanta - ha continuato Redaelli - Squillò il telefono e mi dissero che dovevo correre a Chignolo. A quell’epoca ero responsabile delle squadre sopralluogo del Gabinetto regionale di Polizia Scientifica. Mi dissero che era stata trovata una salma in un campo e che probabilmente era quella della piccola Yara. Coordinai tutte le attività di sopralluogo di quel campo che durarono più di 24 ore. Ancora oggi qualcuno si chiede e mi chiede come fosse possibile che, nonostante mille sopralluoghi avvenuti nelle settimane precedenti in quella zona, quel corpo non venne ritrovato prima. Posso solo dire che c’erano rovi altissimi e non era affatto facile scorgere un corpo in quel punto".
Il delitto di Garlasco
Impossibile non fare cenno al suo ultimo incarico che oggi, a distanza di 18 anni dall’omicidio, è ancora alla ribalta delle cronache. In questo caso l’arcorese è tra i numerosi tecnici impegnati, anche nei giorni scorsi, nelle nuove indagini sull’omicidio di Chiara Poggi per il quale fu condannato il fidanzato Alberto Stasi, e che oggi vede indagato Andrea Sempio. L’esperto è uno dei periti della famiglia della vittima che stanno riesaminando le tracce di dna e le impronte del delitto. Il perito, la scorsa settimana, ricordiamo, era impegnato nell’incidente probatorio nei laboratori della Polizia Scientifica in Questura a Milano.
"Alla famiglia di Chiara è stata consegnata una realtà giudiziaria"
"In realtà io sono entrato in questo filone processuale nel 2014, quando la Cassazione rimandò alla Core d’Appello la prima sentenza di assoluzione di Stasi. Dato che la Cassazione stabilì che alcune indagini meritavano approfondimenti dalla Procura Generale, il procuratore Laura Barbaini mi chiamò per chiedermi di occuparmi della vicenda. Diedi il mio contributo anche nell’esame di tutti i motivi di Cassazione proposti dalla difesa di Stasi. Sul mio incarico di perito della famiglia Poggi mi sento solamente di dire una cosa: a loro è stata consegnata una realtà giudiziaria, non se la sono inventata. Ad oggi i genitori di Chiara continuano ad essere convinti di quella realtà ma, al tempo stesso, mantengono la curiosità di sapere se esiste una nuova verità. A riprova di ciò il fatto che hanno nominato me e Calogero Biondi come periti di parte. Ad oggi, comunque, non esistono elementi che possano portare ad una nuova verità processuale. Posso aggiungere che non mi stupisce il fatto che la vicenda di Garlasco, dopo così tanti anni, sia ancora sulle prime pagine dei giornali. Credo che sia normale perché sia quella di Chiara sia quella di Alberto Stasi sono due famiglie normali. C’è interesse perché molti si immedesimano in questa vicenda che potrebbe toccare chiunque... ".
Yara, Chiara e la corazza
"Non nego che le immagini crude dei cadaveri di Yara e di Chiara spesso mi vengono in mente ma credo che sia normale per chi fa un lavoro come il mio - ha concluso Redaelli - Se ripenso alle migliaia delle vittime che ho incontrato sulle scene dei crimini l’ho fatto per cercare di migliorare il mio approccio dell’analisi della scena del crimine. Tante volte mentre sono in macchina e devo raggiungere i luoghi dei delitti, mi immagino già la situazione e le cose a cui dare priorità. Mi sono trovato, nella vita, a voler fare questo tipo di attività ma sempre nel mio miglior modo possibile, anche con un pizzico di cinismo. Guardando indietro penso che rifarei tutto quello che ho fatto. Magari, con gli strumenti di oggi, avrei potuto farlo meglio o avrei potuto alcuni errori. Ma con il senno di poi... Ringrazio quella carta di identità scaduta che mi ha aperto una nuova prospettiva di vita" .