Covid, "Ora stiamo capendo come curarli"
Una testimonianza che dà speranza quella del medico monzese Ester Bramati in servizio a Bergamo
C’è un piccolo taccuino su cui segnava all’inizio alcuni parametri per lo svolgimento del suo «nuovo» lavoro. E su cui poi ha iniziato ad annotare i nomi dei pazienti guariti dal Covid e dimessi. Una «pagina di speranza» che soprattutto nelle prime fasi dell’emergenza, era una boccata di ossigeno quando il Covid ne risucchiava fin troppo.
Se la teneva stretta, soprattutto dopo un turno difficile in reparto.
Ma ora quella lista di nomi è diventata più lunga e dimettere i pazienti è diventato meno inusuale. E’ anche questo il segno che la situazione sta migliorando. Che i momenti drammatici dell’epidemia stanno lasciando spazio a una nuova rinnovata aspettativa.
Come quella di riuscire a curare i pazienti tempestivamente, prima che si aggravino.
Si è offerta come medico volontario
Ce lo racconta Ester Bramati, 44 anni, monzese di Sant’Albino (ma ora residente a San Biagio) anche se abbiamo dovuto insistere un po’. Perché se la dottoressa è stata la prima a mettersi a disposizione durante l’emergenza, non è certo una di quelle persone che ama i riflettori, anzi è modesta e riservata.«Diciamo che mi sono proposta come medico volontario rispondendo alla chiamata di Regione Lombardia perché volevo rendermi utile - racconta con emozione - Pensavo mi precettassero per le attività più burocratiche, invece sono stata indirizzata all’attività clinica all’ospedale di Bergamo».
In prima linea
Insomma Ester, che lavora come direttore di uno studio di Medicina del Lavoro a Nova Milanese (e presso alcune farmaceutiche) ha sentito di rispondere alla chiamata di questa guerra silenziosa per l’esercito del bene. E si è trovata direttamente catapultata in prima linea in uno degli ospedali come il Papa Giovanni XXIII delle zone più colpite dal Covid. «Quando molti medici si sono ammalati e c’è stata la richiesta dalla Regione, ho pensato fosse l’occasione per dare una mano e mi sono proposta facendomi sostituire al lavoro da una collega. Voglio specificare che anche se ci chiamano volontari, siamo remunerati e questo è giusto si dica».
Ma l’altra cosa che andrebbe specificata è che si visitano persone che «ti respirano addosso il Covid ed è impossibile non avere paura per sè e per gli altri».
Ester ha un marito, Roberto Orizio, conosciuto a Monza per il suo impegno nell’associazionismo e nelle consulte, due bimbi di 14 (Stefano) e nove anni (Gaia). E come altre famiglie ha pagato tantissimo in termini di dolore per colpa del coronavirus. «La moglie di mio fratello è morta in questo periodo, si tratta di Manuela Franchetti, dirigente di Ats Brianza che faceva i tamponi e che è mancata a 50 anni - spiega - Non è stato facile spiegarlo ai bambini. Era giovane, era in salute. Non abbiamo un tampone che lo attesti. Non lo abbiamo richiesto. Ma lei in questo periodo era in prima linea, non si è risparmiata. L’epidemia in qualche modo ce l’ha comunque portata via. E’ il pensiero del suo sacrificio che mi dà la forza di andare avanti ogni giorno. In uno degli ultimi messaggi mi diceva: “Sono fiera di te”. Ecco io lo faccio anche per lei, la porto con me ogni volta che vado in ospedale. Dentro il mio cuore».
Tutto da imparare
Come molti colleghi, si è reinventata in un nuovo lavoro in reparto. Che ogni giorno dà maggiori soddisfazioni. «All’inizio del virus sapevamo poco o nulla. Ogni giorno la risposta diventa più efficace, anche per questo aumentano i contagi ma diminuiscono gli accessi in Terapia intensiva, perché abbiamo capito quali farmaci vanno somministrati e in quale momento della malattia per una risposta immunitaria migliore - ha spiegato - Questo coronavirus è come una partita a scacchi. Lo stiamo iniziando a capire e quindi a sconfiggere prima che comprometta troppo i pazienti».
Insomma, le cure tempestive sono tutto.
Si sa di più del virus
«Abbiamo capito che vanno curati tempestivamente a casa con i farmaci (antivirali, antibiotici, cortisone, anticoagulanti tra i più usati) che meglio funzionano in base ai vari casi e al momento dell’evoluzione della malattia prima che intervenga la necessità del sostegno respiratorio, evitando anche la formazione di trombi che in molti casi portavano poi a esiti fatali», spiega la dottoressa. Quando si può, inoltre, la terapia a casa migliora anche la risposta immunitaria e evita lo spaesamento, soprattutto dei più anziani. Il sostegno respiratorio ora sta perdendo valore».
Capendo più del virus si sta comprendendo anche perché i bambini e i grandi anziani siano meno colpiti da forme gravi. «Nel primo caso perché per loro ogni virus è sconosciuto e nel secondo perché non c’è la cascata citochimica innescata dall’organismo perché non hanno la forza di una risposta forte dal punto di vista immunitario - spiega Bramati - Noi ad esempio abbiamo dimesso una signora guarita di 103 anni. La speranza è sempre più forte». E il futuro? «Di certo siamo precettati fino al 19 giugno, ma dipende cosa succederà nelle prossime settimane, la situazione sta rientrando, molti colleghi sono rientrati, stiamo liberando i reparti Covid e impostando gli ospedali con percorsi Covid free per riprendere le attività ordinarie. I primi dimessi piangevano, si sentivano dei miracolati. Ora fortunatamente non sono più casi isolati».