Inchiesta Iron Family: confermate le condanne in Appello
Al centro dell'inchiesta della Guardia di Finanza una serie di reati fiscali. Secondo le accuse sarebbe stato riciclato denaro per oltre 41 milioni di euro.
Confermate in Appello le condanne dell’inchiesta Iron Family, relativa a una serie di reati fiscali, scoperti indagando sulla società di commercio di rottami della famiglia Ricco, di Desio.
Iron Family: in Appello confermate le condanne per una serie di reati fiscali
Al centro dell'inchiesta Iron Family della Guardia di Finanza una serie di reati fiscali, scoperti indagando su una società di commercio di rottami che operava a Desio. In primo grado erano quattro i fratelli coinvolti in questo filone processuale. Fabio e Luigi Ricco avevano patteggiato rispettivamente 4 anni e 4 mesi (8mila euro di multa) e 2 anni e due mesi (5mila euro di multa). Ruggero e Vincenzo Ricco avevano scelto il rito abbreviato, e per loro la sentenza era stata di 4 anni e 10 mesi, e di 4 anni e tre mesi. Ora la Corte d’Appello ha confermato le condanne pronunciate in primo grado con il rito abbreviato.
Sequestri di beni per 57 milioni di euro
Il blitz dei militari delle Fiamme Gialle risale alla fine di marzo 2022. In carcere erano finiti i fratelli Ricco. In tutto, le misure cautelari emesse erano una dozzina. Nel complesso erano oltre ottanta gli indagati, provenienti da tutta la Brianza: Desio, Seregno, Carate, Varedo, Cogliate e altri comuni brianzoli. Secondo le accuse, sarebbe stato riciclato denaro per oltre 41 milioni di euro. Gli investigatori avevano operato sequestri di beni, tra disponibilità finanziarie e immobili, per un valore di 57 milioni di euro. La maxi inchiesta della procura di Monza e della Guardia di Finanza di Seregno era partita dunque passando al setaccio le attività della famiglia Ricco, rottamai di Desio, segnalata per operazioni anomale. Le indagini erano durate un paio d’anni, condotte anche attraverso l’esecuzione di perquisizioni nei confronti di 123 obiettivi fra persone fisiche e giuridiche, di cui 107 con sede in Italia, e 16 in nazioni estere (Bulgaria, Repubblica Ceca, Polonia, Slovenia, Spagna e Ungheria). Secondo le accuse sarebbe stato riciclato denaro per oltre 41 milioni di euro.