Killer del tallio, "Delirio compulsivo e non governabile"
Le motivazioni della sentenza di Cassazione che conferma l’assoluzione di Mattia Del Zotto per infermità mentale.
"Il delirio che muoveva l’agire di Del Zotto era talmente compulsivo e non governabile da escludere comunque la capacità di volere, avendo le sue farneticazioni interamente assorbito e annullato ogni capacità di analisi e autocritica". Lo scrivono i giudici della Corte di Cassazione nelle motivazioni della sentenza di «non imputabilità» di Mattia Del Zotto, il 29enne che nel 2017 ha avvelenato con il solfato di tallio sette famigliari uccidendo i nonni e la zia paterni e mandando in ospedale due zii, i nonni materni e pure la badante dei nonni paterni. Nell’udienza del 25 febbraio, la Cassazione aveva rigettato la richiesta di perizia collegiale formulata dal pm, che già in primo grado aveva chiesto l’ergastolo per il ragioniere novese.
Killer del tallio, le motivazioni della sentenza di Cassazione
Nel processo in primo grado, celebrato con rito abbreviato, Del Zotto era stato sottoposto a tre perizie psichiatriche che avevano dato esiti differenti. La prima, commissionata dalla Procura, ritiene il novese parzialmente infermo (affetto da una patologia «borderline» che però gli avrebbe consentito di pianificare lucidamente i delitti), la seconda, disposta dalla difesa, evidenzia un vizio totale di mente e la terza, quella del tribunale, conferma quest’ultima. Nelle motivazioni della sentenza, la Cassazione ha evidenziato che "Mattia Del Zotto era affetto, al momento del fatto, da un disturbo delirante di grado elevato".
Il 29enne, prima di avvelenare i parenti, aveva passato due anni rinchiuso nella sua stanza, restando molte ore collegato a internet e rifuggendo i contatti con il mondo esterno e con la famiglia. Perseguendo una ricerca di spiritualità e distacco dal materialismo si sarebbe convertito all'ebraismo, maturando però una sorta di fanatismo religioso. Il suo gesto, secondo i giudici, sarebbe l’espressione delirante "di quell’insieme di convinzioni dominato da una forma di sapere oscuro e totalizzante, intriso di contenuti deliranti per lo più di tipo mistico-religioso e che ha mosso la mano pluriomicida di Mattia Del Zotto, facendo insorgere l'idea di sopprimere coloro che gli stavano vicini", scrivono ancora i magistrati. Il novese all’indomani dell’arresto aveva confessato di aver sciolto il solfato tallio nelle bottiglie d’acqua conservate in cantina. "“Una voce che era nella sua testa” gli ordinava tutti i comportamenti da tenere, indicandogli quelli “buoni” e quelli “non buoni”, rientrando lo sterminio dei suoi cari nei primi" annotano ancora i magistrati.
Un delirio così totalizzante che lo stesso 29enne sarebbe poi giunto "a considerare che il suo stesso stato di detenzione non è il risultato di un’azione punitiva dell’ordinamento, bensì la punizione di Dio al suo peccato di superbia per essersi eretto a vendicatore". Con la sentenza di assoluzione confermata dalla Cassazione si chiude definitivamente il capitolo processuale sul killer del tallio, durato tre anni. Considerata la pericolosità sociale di Del Zotto, i giudici del tribunale di Monza, già in primo grado, avevano disposto il ricovero in una Rems (Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza) per almeno dieci anni.