Il caso

Non c'è pace per Jordan Tinti: il trapper di Bernareggio ha tentato ancora il suicidio in carcere

Respinta la richiesta di concedere i domiciliari al 25enne accusato di aver aggredito un uomo. L'avvocato: "Situazione preoccupante e decisione sconcertante"

Non c'è pace per Jordan Tinti: il trapper di Bernareggio ha tentato ancora il suicidio in carcere
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Non c'è davvero pace per Jordan Tinti, il trapper 25enne di Bernareggio (conosciuto anche come Jordan Jeffrey Baby) detenuto nel carcere di Pavia con l'accusa di aver aggredito un nigeriano in stazione a Carnate la scorsa estate. Secondo l'avvocato venerdì 10 febbrai, il ragazzo avrebbe tentato ancora una volta di togliersi la vita.

Non c'è pace per il trapper di Bernareggio

Che la situazione di Jordan fosse ormai al limite l'avvocato Federico Edoardo Pisani lo aveva già fatto notare in occasione del primo tentato gesto estremo: in quel caso il ragazzo era stato salvato dalle guardie penitenziarie. Questa volta, invece, pare che solo la buona sorte abbia evitato il peggio: il 25enne è stato ritrovato riverso a terra con una ferita alla testa provocata da una caduta. Nella cella, anche una lettera indirizzata al padre. Fortunatamente però anche questo tentativo è andato a vuoto.

Respinta la richiesta dei domiciliari

Il gesto sarebbe scaturito dopo che il Tribunale del Riesame di Milano ha respinto la richiesta di concedere al ragazzo gli arresti domiciliari come misura alternativa alla detenzione in carcere che per il momento resta valida almeno fino alla prossima udienza di aprile.

"Purtroppo è caduto nello sconforto più totale dopo l'ennesimo riscontro negativo del Tribunale, è arrivato al limite sia fisico che soprattutto psicologico - dice l'avvocato - La situazione è ormai insostenibile. Peraltro qualche settimana fa il mio cliente aveva subito una violenza in cella di cui ha presentato denuncia. Ho fatto notare tutti questi aspetti al giudice, che però ha rigettato nuovamente la mia richiesta. Non chiedo la scarcerazione, ma che la detenzione continui ai domiciliari. Una misura che non solo garantirebbe la sicurezza e l'incolumità di Jordan, ma anche una maggior serenità al padre. Da quando è entrato in carcere Jordan si è sempre comportato correttamente, inoltre ha presentato dichiarazioni spontanee ai giudici e si è offerto di corrispondere un risarcimento alla vittima: come si fa non tenere in considerazione tutti questi aspetti?"

L'alternativa è la comunità

Il giudice però non ritiene Jordan sufficientemente affidabile da potergli concedere i domiciliari, considerando più idoneo inserirlo in un percorso terapeutico. Ecco perché il Tribunale ha offerto la possibilità di ottenere l'ingresso in una comunità in cui Jordan possa affrontare la riabilitazione psicologica e sociale:

"E' uno spiraglio positivo, ma non è così semplice da cogliere poiché individuare una comunità richiede del tempo. Senza contare che a oggi, purtroppo, non ho ancora ottenuto le risposte necessarie dagli enti preposti e questo è un fatto preoccupante. Più tempo passa e più l'incolumità del ragazzo è a rischio. Ha già tentato due volte il suicidio e ha compiuto diversi atti di autolesionismo. Cosa aspettiamo a intervenire? Io mi sento responsabile per lui e non posso accettare che un ragazzo di 25 anni, pur avendo commesso degli errori, venga trattato in questo modo. E' inaccettabile sotto ogni punto di vista e ci batteremo affinché Jordan possa uscire dal carcere e scontare la detenzione in un contesto più sicuro per lui".

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