L'intervista

Rianimatore del Papa Giovanni di Bergamo "In Brianza situazione preoccupante"

Ivano Riva: "Per interrompere la catena di trasmissione del virus è fondamentale l’attività di tracciamento. Ma soprattutto è necessario rispettare le regole".

Rianimatore del Papa Giovanni di Bergamo "In Brianza situazione preoccupante"
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Rianimatore del Papa Giovanni di Bergamo "In Brianza situazione preoccupante". "Per interrompere la catena di trasmissione del virus è fondamentale l’attività di tracciamento. Ma soprattutto è necessario rispettare le regole".

Rianimatore del Papa Giovanni di Bergamo "In Brianza situazione preoccupante"

In Brianza forse non sappiamo ancora cosa ci aspetta. A marzo e aprile la pandemia ci aveva solo sfiorato. Tutto un altro discorso invece nella bergamasca, che in primavera fu la più martoriata d’Italia. Chi ha dimenticato le bare scortate dall’esercito e le paginate di necrologi sul giornale? Lì ogni famiglia ebbe almeno un morto e non si sono nemmeno avvicinati all’immunità di gregge, visto che il virus ancora oggi circola.

Si ricorda bene quei giorni il brianzolo Ivano Riva, medico anestesista e rianimatore dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, lì dove il virus, mesi fa, non ha fatto sconti a nessuno.

Dottor Riva assistiamo da qualche settimana a questa nuova impennata dei contagi. In ospedale che clima si respira in questo momento?

L’umore è anche peggio di quello di marzo, quando il virus era pressoché sconosciuto. Purtroppo adesso conosciamo bene il ritmo a cui galoppa e le dico francamente, siamo terrorizzati. Se anche la situazione si ripetesse solo in parte per noi medici sarebbe uno sforzo inaccettabile. Dover pensare di far fronte ancora a certi carichi di lavoro, ai sacrifici familiari, alla mancanza di personale specializzato. Non ci voglio pensare.

Sa quanti medici e operatori sanitari hanno cambiato lavoro dopo aver affrontato l’emergenza sanitaria dei primi mesi dell’anno? Tanti: il nostro mestiere è una missione sì, ma per alcuni i rischi sono stati davvero troppi. Li capisco.

La mancanza di personale è un punto debole del nostro sistema sanitario. Nella rianimazione, ad esempio, mancano all’appello circa 400 specializzati in tutta la Lombardia. La Regione negli ultime mesi ha aumentato i posti letto in terapia intensiva, ha dotato gli ospedali di  macchinari e respiratori, ha aperto nuove strutture. Ma se poi non c’è lo specialista che è in grado di far funzionare le macchine mi spiega a cosa serve tutto questo? Lascio a lei la risposta…

Intanto abbiamo passato un’estate a “maglie troppo larghe”?

Dopo il lockdown che ci ha permesso di azzerare la carica virale del virus e di cui abbiamo beneficiato fino a settembre, i comportamenti dei mesi estivi e le riaperture di scuole e uffici hanno riportato il virus a circolare in maniera violenta. Mi spiego meglio, io trovo giusto aver riaperto le strutture ma si doveva badare di più a rendere i trasporti pubblici sicuri incrementando corse e mezzi. Bene invece le disposizioni di sicurezza a scuola.

L’epidemia non segue ovunque lo stesso andamento in Lombardia, la Brianza per esempio è più colpita. Bergamo lo è meno perché lo fu molto l’altra volta?

In provincia di Bergamo i contagi sono meno rispetto ad altre province come Milano e Monza dove invece la situazione è «esplosiva». Non abbiamo evidenze scientifiche che sia perché una parte della popolazione si sia già immunizzata. E’ vero però che i numeri in questo momento ci portano a supporre che nella zona della Bergamasca la popolazione abbia una maggiore risposta anticorpale: chi si è già ammalato a marzo potrebbe quindi avere sufficienti anticorpi a fare da scudo ad una seconda reinfezione. Cosa che ovviamente non vale per altri territori che in primavera sono stati meno colpiti, ad esempio la provincia di Monza e Brianza in cui effettivamente oggi i dati sono preoccupanti.

Quali sono le priorità in questo momento per fermare l’impennata di nuovi positivi?

Per interrompere la catena di trasmissione del virus adesso è di fondamentale importanza l’attività di tracciamento dei soggetti a rischio. E ricordiamoci che il rischio è in molti casi legato all’ambiente familiare, al contatto con parenti e amici, con cui ci sentiamo più al sicuro. Non possiamo permettercelo.

La situazione non deve continuare a peggiorare perché i rischi che il sistema sanitario ma anche quello economico e sociale non riescano ad affrontare nuovamente una emergenza sono reali purtroppo.
E allora ben vengano le restrizioni se servono a fermare il virus ma ovviamente si devono prevedere norme ad hoc di vero sostegno economico per le attività che devono fermarsi. Ben vengano anche i nuovi test diagnostici rapidi che potrebbero darci una grande mano ad interrompere in fretta la catena del contagio soprattutto in contesti come le scuole o gli ambienti di lavoro.

Dal punto di vista delle cure che progressi sono stati fatti nel corso dei mesi e quali sono invece le difficoltà?

La difficoltà più grande è una sola: la cura specifica ad oggi ancora non c’è. Certamente stiamo usando la terapia migliore, conosciamo meglio i tempi del virus e quando intervenire per evitare il peggioramento delle condizioni cliniche dei pazienti. Ma questo non ci lascia del tutto tranquilli perché manca la cura d’elezione. D’altro canto è normale che sia così: ci sono malattie che impariamo a curare dopo anni di esperienza. Perché in questo caso dovrebbe essere diverso?

Se proseguono gli studi per arrivare alla cura giusta è anche vero che a breve, come dicono, dovrebbe arrivare il vaccino…

Perché lei pensa che quando sarà disponibile il vaccino si vaccineranno tutti?
Figuriamoci, io credo proprio di no. Siamo un Paese complicato, che negli ultimi anni tende a farsi influenzare troppo da quello che viene condiviso, dalle esperienze mediatiche, da ciò che è “virale” solo sugli schermi. Pensiamo a non ammalarci prima di tutto. Quando il vaccino sarà disponibile saremo già un passo avanti...

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