La riflessione

Per cosa vale la pena scambiarsi gli auguri?

In occasione del Natale il pensiero di don Simone Riva, che sul Giornale di Monza cura la seguitissima rubrica "Fuori dal coro" diventata anche un libro

Per cosa vale la pena scambiarsi gli auguri?
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Per oltre un anno  Don Simone Riva vicario parrocchiale a Sant'Ambrogio di Monza cura sul Giornale di Monza la seguitissima rubrica "Fuori dal coro", diventata anche un libro-raccolta di tutti i pensieri pubblicati da settembre 2022 sul nostro settimanale.

Don Simone ha commentato fatti di cronaca e di attualità, non limitandosi a fare «prediche» o discorsi esclusivamente religiosi, ma cristallizzando la vita, che vede da una posizione privilegiata, a scuola e in chiesa, facendo riflettere i lettori. Oggi la cinquantina di articoli che  Riva (che insegna anche al Mosè Bianchi) ha scritto  è diventato un libro.
Si chiama «L’intensità dell’istante» ed è una raccolta proprio di tutte le edizioni della rubrica «Fuori dal coro» che don Simone ha voluto affidare alle stampe anche su richiesta dei parrocchiani e dei lettori che hanno apprezzato quelle intense perle con cui di volta in volta ha aperto spunti di riflessione su temi importanti (si può prendere qui).

Per i lettori di Primamonza.it proponiamo la sua riflessione sul Natale.

Don Simone Riva

La riflessione sul Natale

In diverse occasioni della vita ci sentiamo rivolgere, e rivolgiamo a nostra volta, la parola: «Auguri!». Una parola che segna i momenti più importanti della vita, per ricorrenze, celebrazioni, sfide della salute, avventure lavorative, tappe scolastiche… ci sono, poi, alcuni periodi dell’anno, come il Natale, il capodanno e la Pasqua, nei quali questa parola impazza ovunque. Messaggi, telefonate, biglietti, mail, nei quali tutti dicono: «Auguri!». Nell’antica Roma, e fra gli Etruschi, esisteva un tipo di sacerdote il cui compito era interpretare la volontà degli dei osservando il volo degli uccelli: questi erano gli àuguri.

Una parola, dunque, che ha a che fare con il cielo. Alzare lo sguardo, osservare, riconoscere. Queste le caratteristiche dell’augurio antico. Certamente oggi non abbiamo più in mente questi riferimenti nel farci gli auguri, ma l’origine rimane interessante. Fra pochi giorni l’augurio prenderà una forma precisa: «Buon Natale!». Usciremo dal generico sperare in un futuro positivo che ancora non c’è, per fissare la speranza, anche nel modo di esprimerci, in una nascita che è già accaduta.

Gli aneddoti

Nei giorni scorsi, scendendo le scale della scuola per raggiungere l’aula al cambio dell’ora, mi ferma un’amica professoressa per raccontarmi di come la sua vita fosse stata ribaltata dal figlio adottivo che hanno in famiglia. Lo sguardo stanco lasciava trasparire tutta la fatica della gestione del quotidiano, ma il sorriso con cui mi parlava era la prova incontrovertibile di una letizia che abbracciava tutto. Ritmi, equilibri e imprevisti determinano il quotidiano in modo a volte realmente sconvolgente.

Ci sembra di non dominare più le cose, di non riuscire ad arginare nulla. Ma in tutto questo il Natale ci riporta a una notte in cui tutto è stato abbracciato da un’altrimenti impossibile letizia. La notte in cui il silenzio è stato attraversato, per la prima volta, dal vagito del Figlio di Dio. Tutto ciò che gli uomini si erano augurati fino a quel momento, cioè la venuta del Messia, finalmente era accaduto. La cosa sorprendente è che nessuno se ne sia accorto.

Un augurio che si è realizzato senza che ce ne accorgessimo, perché l’ingresso di Dio nella storia è avvenuto quasi di nascosto, come accade con i doni più grandi. Li attendiamo, facciamo di tutto per averli, preghiamo perché ci raggiungano e poi ci sorprendono all’improvviso.

I pastori e il Natale

Gli unici che si sono accorti sono stati quelli a cui è stato annunciato: i pastori. Forse sono stati scelti loro, come primi destinatari di questa novità, perché erano gli ultimi e perché vegliavano di notte. Quando pronunciamo le parole: «Buon Natale!» possiamo augurarci proprio questi due doni.

L’augurio di essere ultimi, cioè semplici, veri, amici della realtà. E poi l’augurio di essere gente che veglia mentre tutti dormono. Gesù stesso raccomanda di non essere trovati addormentati quando tornerà alla fine dei tempi. Svegli in ciò che ci è stato annunciato come la vera novità: Cristo ha preso la nostra umanità. Il primo luogo della veglia occorre che sia proprio ciò che siamo, per non correre il rischio di occuparci di tutto e trascurare noi stessi. Nessuno potrebbe rimediare dall’esterno alla trascuratezza di noi.

Tutti abbiamo bisogno di un Buon Natale così, al modo dei pastori: ultimi e svegli.

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