agguato in Congo

Omicidio ambasciatore: «Non fu incidente ma esecuzione»

Il papà dell'ambasciatore Luca Attanasio e il suo legale sono intervenuti a un'audizione in una commissione del Senato: "Scoprì una distrazione di fondi"

Omicidio ambasciatore: «Non fu incidente  ma esecuzione»
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Omicidio ambasciatore: «Non fu incidente ma esecuzione». Il papà dell'ambasciatore Luca Attanasio e il suo legale sono intervenuti a un'audizione in una commissione del Senato: "Scoprì una distrazione di fondi"

L'audizione in una commissione del Senato

«La perizia balistica sostiene che non si è trattato di un'incidente ma di un’esecuzione». Lo ha rivelato Salvatore Attanasio, papà dell’ambasciatore Luca Attanasio durante un’audizione dinanzi alla Commissione straordinaria per la tutela e promozione dei Diritti Umani del Senato.

Il triplice omicidio in Congo

Il diplomatico originario di Limbiate è stato ucciso in un agguato in Congo il 22 febbraio 2021 insieme al carabiniere della sua scorta Vittorio Iacovacci e all’autista Mustapha Milambo.
L’incontro con i senatori è stato organizzato giovedì nell’ambito dell’indagine conoscitiva sui livelli e i meccanismi di tutela dei diritti umani in Italia e nella realtà internazionale che la Commissione sta portando avanti. Nei prossimi giorni verrà ascoltato il fratello di Iacovacci.

La ricostruzione dell’agguato

Salvatore Attanasio, intervenuto in Commissione insieme all’avvocato Rocco Curcio, ha ricostruito l’ultimo viaggio del figlio Luca, una missione organizzata dal Programma alimentare mondiale delle Nazioni unite, per visitare l’andamento di alcuni progetti umanitari. Partito con un volo dell’Onu dalla capitale Kinshasa fino a Goma, l’ambasciatore proseguì il tragitto su un convoglio di due jeep con il logo del Wfp alla volta di Rutshuru, nel nord Kivu, una delle zone più ricche ma anche più dilaniate da una lunga guerra.

L'attacco a 20 km da Goma

A 20 km da Goma, in località Tre antenne, il convoglio fu bloccato da terroristi armati di kalashnikov che uccisero subito l’autista, poi fecero scendere tutti gli altri, in totale sette persone: tre italiani (Attanasio, Iacovacci e il funzionario del Pam Rocco Leone) e quattro congolesi. Condotti su un sentiero adiacente, poco dopo i primi spari: il carabiniere morì sul colpo, Luca fu ferito e soccorso dai rangers nel frattempo accorsi dal vicino parco e portato all’ospedale della Monusco di Goma dove è spirato 90 minuti dopo.

Non regge la tesi del rapimento

«E’ stata fatta una narrazione che oggi, a distanza di tre anni, presenta tantissime lacune - ha puntualizzato Attanasio - il tentato rapimento per scopo di estorsione non sta in piedi per tante ragioni. Come fa un sequestratore ad ammazzare il suo ostaggio dopo pochi minuti che l’ha catturato?» Quindi la perizia balistica di parte che rivela un’altra verità. «Partendo dall’autopsia fatta a Roma uno studio di esperti di balistici ha dimostrato in modo scientifico che i colpi sono stati sparati da breve distanza, 4 o 5 metri, e sono partiti dal basso verso l’alto - ha continuato il papà del diplomatico - Luca è stato colpito da tre proiettili sparati dalla stessa direzione, uno di questi è uscito da corpo dell’ambasciatore e ha colpito il carabiniere Jacovacci».

«Non incidente ma esecuzione»

Salvatore Attanasio ha raccontato anche, come rivelato da alcuni testimoni, del passaggio sulla stessa strada, appena mezz’ora prima, di un convoglio identico con operatori umanitari che non è stato attaccato.

«C’è il fondato sospetto che aspettavano proprio il nostro ambasciatore e che quindi non si sia trattato di incidente ma di esecuzione. E’ la conclusione a cui sono giunti i nostri periti» ha affermato Attanasio.

«Scoprì una distrazione di fondi»

Anche l’avvocato Curcio si è soffermato sulla perizia:

«Questo agguato ha tutti gli elementi che esprimono una premeditazione con organizzazione di mezzi e di uomini, sono stati presi di mira a distanza ravvicinata e colpiti di proposito».

Quindi ha fatto riferimento all’interessante testimonianza del vulcanologo italiano Dario Tedesco, in un’intervista al giornale Domani, che la sera prima dell’omicidio aveva parlato con Luca Attanasio.

«Racconta che l’ambasciatore era fortemente dispiaciuto per la distrazione di fondi destinati a progetti umanitari - ha aggiunto l’avvocato - Il professore dice espressamente che quell’agguato è frutto di atto voluto e volto, se non a uccidere, ad intimidire. Dobbiamo allora chiederci chi l’ha voluto uccidere, quali sono le ragioni?»

Il professore non è stato ancora ascoltato dalle autorità italiane ma l’avvocato Curcio sta presentando la richiesta che venga interrogato.

L’immunità dei due funzionari del Pam

Il 13 febbraio il tribunale di Roma aveva riconosciuto l’immunità ai due funzionari del Pam (oltre a Leone, anche il congolese Mansuor Rwagaza) che erano accusati di omicidio colposo e di omesse cautele nell’organizzazione del viaggio. Le motivazioni della decisione di non luogo a procedere devono ancora essere depositate ma la Procura ha annunciato ricorso.

I Ros in Congo

«I nostri Carabinieri dei Ros sono andati in Congo due volte ma si sono dovuti fermare nella capitale Kinshasa che dista duemila chilometri dal luogo dell’imboscata perché si tratta di una zona ritenuta pericolosa - ha ricordato Attanasio - quindi non hanno mai visto le vetture, non hanno mai fatto nessun esame balistico nel punto dove è avvenuto l’agguato, quindi la testimonianza che oggi abbiamo è quella di coloro che poi la Procura ha mandato a giudizio».

Lo Stato assente

Nel processo in Congo agli esecutori dell’assalto armato lo Stato italiano si è presentato come parte civile. Processo che si è concluso con la condanna all’ergastolo per cinque persone.

«In Italia invece, inspiegabilmente, lo Stato è rimasto assente - ha ribadito Salvatore Attanasio - con estremo rammarico per le famiglie: è vero che noi ci siamo ritirati perché c’è stato poi un accordo economico ma penso che lo Stato abbia un dovere diverso, il dovere morale di difendere due funzionari caduti in servizio».

Perché questa assenza?

«Non abbiamo avuto risposte ma immaginiamo che non si volevano alterare degli equilibri, probabilmente si temevano ritorsioni - ha ipotizzati il papà del diplomatico - ma uno Stato di fronte al suo ambasciatore ammazzato non può chinare il capo, deve avere la schiena dritta, deve farsi rispettare e a volte avere il coraggio di dire no».

Per la famiglia Attanasio e il loro legale aver riconosciuto l’immunità ai due funzionari non aiuta affatto la ricerca di verità:

«In un caso di triplice omicidio che senso ha chiedere l’immunità? Si doveva chiedere di celebrato il processo proprio per fare chiarezza affinché tutto venga esposto alla luce del sole».

«Rendere onore alla sua memoria»

In conclusione, l’auspicio che questa storia non cada nell’oblio:

«Per questo andiamo nelle scuole a parlare della figura di Luca che ha onorato il nostro Paese, in tutti i sensi. Conosceva bene i protocolli della diplomazia ma è riuscito a coniugarli con una grande umanità e generosità, ha dato dignità al popolo congolese. Cercare la verità vuol dire rendere onore alla sua memoria. Ci vorrebbe un sussulto da parte del nostro Paese perché si chieda giustizia e verità per un Uomo di Stato con U e la S maiuscola rispetto a tanti altri con u e s minuscola».

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